sabato 17 settembre 2016

Intervista di Kristen per ELLE Italia

La tigre. Si muove sinuosa come un felino, ha uno sguardo d'acciaio, ombroso, audace. Oltre a un nuovo film con Oliver Assayas
L'Hotel tutto rosa e blu, in perfetto stile anni '50, appena fuori Los Angeles. Qui nulla è cambiato, dopo la guerra. C'è una tavola calda con tanto di juke-box cromato e divanetti rossi mentre nelle camere - un tantino kitsch - spiccano i copriletti fiorati. In questo luogo fuori del tempo, che ti riporta agli anni d'oro americani, si sente improvvisamente uno strano rumore: un enorme Hummer, scintillante come uno scarabeo, si ferma scricchiolando sulla ghiaia. Si apre la portiera e si diffonde un'assordante musica new age suonata a tutto volume... poi scende lei, Kristen Stewart, seguita da un amico. Un arrivo molto rock’n’roll: esattamente quello che ti aspetti dall’attrice che ha vestito i panni di Joan Jett in The Runaways.
Piccola, esile e sinuosa, Kristen Stewart, 26 anni, si muove come un felino nel suo ambiente naturale. Forte soprattutto di quel suo sguardo d’acciaio, determinato, perforante, quasi audace. Il termine che ti viene in mente per descriverla potrebbe essere “intensa”. Intensa in quel suo modo di rispondere alle domande, quando sceglie con attenzione ogni singola parola. Intensa quando parla dei suoi principi, senza prendere mai nulla alla leggera. Ed è proprio questo suo carattere appassionato ad aver ammaliato registi e pubblico. Dopo i quattro anni di successo della serie Twilight – che l’ha trasformata in una superstar globale – e la fine della sua storia con Robert Pattinson – ampiamente pubblicizzata –, Kristen Stewart è tornata a recitare in pellicole indipendenti, come Sils Maria, diretto da Olivier Assayas, nel 2014. Oggi l’idolo delle teenager è diventata un’attrice acclamata e contesa da tutti. Presto la vedremo in Café Society, il film di Woody Allen, presentato a Cannes, in Personal Shopper, ancora con la regia di Olivier Assayas, e per finire in Billy Lynn’s Long Half-time Walk, di Ang Lee...
Considerati il forte temperamento e la straordinaria fama, Kristen Stewart non poteva passare inosservata nel mondo della moda. Karl Lagerfeld ha ceduto al suo fascino e negli ultimi tre anni l’ha scelta come volto di Chanel. Dopo aver stupito pubblico e critica al Grand Palais, lo scorso anno, grazie alla sua interpretazione di Gabrielle Chanel in un film diretto dallo stesso La gerfeld, Kristen è diventata l’icona del makeup Chanel, prestando la sua immagine alla campagna “Collection Eyes 2016”. E ora alla “Le Rouge Collection N°1”, la prima creata per Chanel da Lucia Pica, Global Creative Makeup and Colour Designer del brand. 

Lei è il nuovo volto del maquillage Chanel. Logico, visto che ha sempre usato eyeliner e ombretto per il suo celeberrimo effetto smoky eyes. Perché alcuni anni fa ha scelto di truccarsi così?
Ho gravitato attorno a molti look diversi... Mi piace anche uscire senza un filo di trucco, per un effetto più naturale, crudo. Ma quando trovi il makeup giusto per te, ti rendi conto che può valorizzare quel tuo aspetto, portare alla luce quella naturale rudezza. Mi piace quando il makeup riesce in questa difficile impresa. Aggiungere qualcosa di scuro per ottenere più luce.

Che cos’ha di speciale la collezione Le Rouge?
I colori sono assolutamente cool. Non vestono solo le labbra ma anche lo sguardo. Di solito il rosso non è un colore molto usato per gli occhi. Io trovo che ci sia qualcosa di molto vivo, e anche maledetto, nel rosso. Un po’ come quando ti innervosisci, oppure sei molto carica. Tantissime attrici della vecchia scuola lo usavano, anche in scene dove non dovevano necessariamente piangere, ma giusto per ottenere quel particolare effetto. Non deve per forza notarsi, ma deve essere sufficiente per attirare lo sguardo di tutti sui tuoi occhi.

Non sembra essersi mai interessata molto al look. Perché questa collaborazione con Chanel?
Fin da quand’ero piccola, mi è sempre piaciuto far parte di una storia. Adoro dare vita a un personaggio, essere credibile e riuscire a trasmettere quello che provo alle altre persone. Mi permette di sentirmi più vicina a loro, che è poi la cosa più importante, quando si gira un film. Con Chanel, ho la sensazione di fare lo stesso, è come se li stessi aiutando a raccontare una storia. E abbiamo un ottimo rapporto. Forse perché Karl Lagerfeld si circonda solo di persone che amano davvero la moda può sembrare un’affermazione scontata, ma in questo ambiente è facile rimanere in superficie mentre con lui si va in profondità...

A volte dà l’impressione di essere freddo...
È vero, ha un’aria piuttosto austera, e a volte sembra intoccabile, inavvicinabile. Ma quando lavori con lui, è tutta un’altra cosa. È molto gentile, parla con tutti. Ho avuto la sensazione che il suo più grande desiderio sia quello di trasmettere informazioni, perché è davvero un pozzo di conoscenza. Soprattutto per noi giovani. Ogni volta che ci troviamo, è come se volesse insegnarmi qualcosa. Parla di artisti e eventi di cui noi non sappiamo nulla. È tutto un susseguirsi di “dovresti leggere questo libro... mi ricordi tanto tizia...”. Non pensa sempre e solo alla moda, è un artista a tutto tondo, dotato di uno straordinario talento.

Quando si trucca gli occhi in modo molto dark, lo fa anche per proteggersi dal mondo?
Certo. Quando sono stanca o mi metto sulla difensiva, o semplicemente quando non sono troppo in vena, scelgo un look dark. Perché non è che hai sempre voglia di andartene in giro a dire: “Ehi gente, oggi mi va di comunicare con il mondo”. A volte, in occasione di un red carpet, il mio makeup artist prova a dirmi: “Stasera dovresti presentarti col viso più pulito, il vestito lo richiede”. Di solito io ribatto: “Non ce la posso fare. Fammi gli occhi pesti!”.

Olivier Assayas in Personal Shopper ha scelto per lei un ruolo che ricorda molto quello di Sils Maria. Perché le fa interpretare sempre il ruolo di un’assistente? Non la vuole star del cinema?
Forse no (ride). È difficile rispondere. Olivier non parla molto del suo lavoro, ed è sempre mol- to parco nelle sue spiegazioni. Devi pensarci tu a te stessa. È il suo modo di fare il regista. Lui butta lì qualcosa e rimane a vedere cosa succede, come se fosse semplicemente il catalizzatore di un processo di pensiero che preferisce catturare piuttosto che controllare. 

Il film affronta diversi temi...
L’aspetto della personal shopper è piuttosto secondario. È una storia di fantasmi, con una ragazza che piange la perdita del fratello. Io la definirei una meditazione un po’ fiabesca e sopra le righe sulla solitudine. Mostra come il nostro senso della realtà si basi sulle nostre esperienze personali e come la realtà di ciascuno sia diversa da quella degli altri. Il personaggio ha problemi di identità: odia se stessa e quello che fa, ma è attratta da tutti quei sontuosi abiti. Ci sono aspetti del suo lavoro che le fanno venire i brividi, ma ne è comunque ossessionata. Lei fa shopping per altre persone, che in fondo disprezza e odia...

Ha scoperto qualcosa di nuovo su se stessa?
Durante le riprese mi sono sentita incredibilmente iso- lata, perché il mio personaggio è tagliato fuori da tutto. E poi deve fare i conti anche con un problema di “soffio al cuore”, al punto che sembra sempre a un passo dalla morte. È stato difficile recitare anche le scene minori. Mi sentivo svuotata. E guardando il film me lo si legge in faccia...

Ma la cosa non sembra averla infastidita...
Per niente. È una condizione estrema, che ho cercato spesso. Nella mia carriera, senza voler sembrare troppo melodrammatica, sono caduta tante volte, ho conosciu- to vari periodi low. Ma va bene così. Non c’è nulla che potrebbe farmi sentire più viva. Non invidio la gente che dice: “Oh, cielo, ma tu pensi troppo, prendi la vita troppo seriamente. Dovresti imparare a rilassarti, a lasciarti scivolare addosso le cose...”. No, io non voglio farmi scivolare addosso le cose. Io mi sento ancora più viva quando ho l’impressione di essere in punto di morte in un film, o quando nella testa mi frullano dei pensieri che potrebbero “uccidermi”. Se non fosse per il cinema, sono sicura che cercherei quella particolare condizione in qualche altro modo. Recitare è durissimo, a volte mi ritrovo a chiedermi: “Ma perché vuoi farti del male?” eppure non credo che avrei voluto fare qualcosa di diverso.

Assayas, Chanel: si sente legata alla Francia?
Il mio produttore preferito è Charles Gillibert, che mi ha procurato tre dei miei ruoli principali, con Olivier Assayas e Walter Salles. E poi c’è questo mio rapporto speciale con la maison Chanel... Detto così può suonare un tantino snob... (ride). In Francia c’è una nobiltà verso le idee che apprezzo molto. Si respira un atteggiamento di curiosità anche rischiosa nei confronti dell’arte... . 

Quest’anno ha recitato anche con Woody Allen. Si sente all’apice della carriera?
Mi sento fortunata. La maggior parte dei miei coetanei deve ancora capire che cosa vuole fare nella vita. Sono molto orgogliosa di essere associata a questi registi, perché sono davvero straordinari. Mi sento ancora più spronata ad andare avanti. Ma sono anche stanchissima. Negli ultimi due anni ho lavorato a cinque film e il tutto concentrato in pochissimo tempo. Ora devo cercare di rallentare un po’ i ritmi, per evitare di farmi trascinare dagli eventi. Perché recitare è come una droga e rischi di non riuscire più a smettere...

Suona la chitarra, scrive poesie e ama il rock’n’roll. Le piacerebbe diventare musicista un giorno?
Mi piace molto suonare la chitarra, e sono anni che lo faccio anche quando sono sul set, per passare il tempo. Ho iniziato anche a suonare la batteria e devo ammettere di avere un certo talento (ride). Vorrei avere una band tutta mia, anche se cantare non mi interessa. Non sono una persona che ama mettersi in mostra, mentre trovo straordinario riuscire a trovare la parola giusta. Ma è molto difficile, soprattutto quando devi scrivere una canzone. Il mio modo di scrivere non è semplice. Trovo sempre soluzioni arti- colate. Quando suono la chitarra, sono così complessa... vado in tutte le direzioni... 

Ha detto che è difficile essere una celebrità, soprattutto dopo la rottura con Robert Pattinson... È ancora così?
Ormai mi sono abituata, ma non è comunque facile. La celebrità è qualcosa che ti cambia la vita, anche se non vorrei suonasse come una lamentela. Sarà anche una dichiarazione scontata, ma diventare famosi cambia radicalmente il tuo modo di affrontare la vita, e di vivere la quotidianità. Per lo meno ho imparato a non prenderla più troppo sul personale... Quando arrivi a capire che la celebrità è solo un’industria, un modo per fare soldi, gestito da persone con tendenze sociopatiche, che non si preoccupano minimamente di quello che provano gli altri, allora va meglio...

Non tiene nascoste le sue relazioni. Ha forse la sensazione che il mondo del cinema e il pubblico siano in grado di accettare più facilmente queste storie d’amore, rispetto a una volta?
Sì, credo che ci sia una maggiore fluidità della nuova generazione, più facile da accettare. È una nuova acquisizione, qualcosa di terribilmente importante. Ma devo dire che io sono facilitata, perché sono del tutto impermeabile ai pettegolezzi. E se non è un problema per me, non sembra esserlo neppure per gli altri. Mi pare un’ottima cosa. Ma non voglio che siano questi aspetti a definire chi sono. La gente ha un sacco di progetti e di aspettative su di me. Tanti credono di sapere tutto sulle celebrità, ma in realtà non sanno proprio niente. Nessuno può avere anche solo una vaga idea di quello che faccio della mia vita. Non mi nascondo, vengo costantemente fotografata, ma al tempo stesso, io non concedo nulla...

Non le piace essere catalogata, in un modo o nell’altro. Non vuole essere osannata come una grande star o un idolo romantico, ma non vuole essere considerata neppure una ribelle...
Mantengo una posizione piuttosto ambigua nei confronti della celebrità. Ci sono quelli ossessionati dalla fama, ed è una cosa che proprio non riesco a capire. Nello stesso tempo, apprezzo il valore di essere famosa, perché mi permette di raggiungere moltissime persone. Se sei celebre puoi avvicinarti maggiormente all’umanità, in generale, e lo trovo straordinario. Non mi piacerebbe fare film che non vede nessuno. È la stessa cosa quando reciti. Sul set, io sono me stessa, non mi nascondo dietro i miei personaggi. Voglio mo- strarmi davvero per quello che sono, voglio mettere a nudo la mia anima, trovare i diversi livelli che fanno di me quello che sono, e che magari ancora non conosco. Voglio trasmettere tutto questo con i miei film. Ma al tempo stesso non voglio rivelare nulla della mia vita privata. Solo le mie sensazioni, le mie emozioni.

Che cosa prova quando è sul set? Che cosa c’è di tanto speciale nel mestiere di attrice?
Quando leggi della buona letteratura, hai spesso l’impressione che avresti potuto dire la stessa cosa, o magari anche solo pensare qualcosa di simile, ma non sei mai riuscito a far sentire la tua voce. È un po’ come esplorare te stesso. Recitare è tutto questo. Quando interpreti un personaggio, puoi fingere di vivere le sue stesse esperienze, come se fossero davvero tue. E da questi personaggi impari in modo incredibile, senza dover necessariamente attraversare le stesse vicissitudini o superare gli stessi ostacoli. È come se ci venisse concesso di vivere tante vite all’interno di una sola.

Come è nato il suo desiderio di fare l’attrice?
Mia mamma è una sceneggiatrice e mi portava spesso con lei, sul set. C’erano sempre dei bambini in giro e io pensavo: “Perché loro possono prendere parte al film e io no? Voglio riuscirci anch’io, a qualsiasi costo!” Mi è sempre piaciuta molto l’atmosfera che si respira sul set. È uno sforzo congiunto per conservare, nutrire e prendersi cura di qualcosa. E mi piace.

In un’intervista lei ha dichiarato: “Le donne possono fare questo mestiere (recitare) e imparare a dire di no”. Che cosa voleva dire, esattamente?
Ritrovarsi in un ambiente creativo dovrebbe essere sempre una cosa positiva ma non ho mai realizzato qualcosa di buono quando mi sono sentita costretta. Ai giovani che vogliono diventare attori dico: “Non dovete fare nulla che non volete”. A volte può essere utile sentirsi un po’ sotto pressione, ma la decisione di fare o meno una cosa dev’essere sempre vostra. 


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